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LA SPEDIZIONE FRANCO-TOSCANA

18/2/2025

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"La nostra storia inizia in Toscana, il protagonista è uno studioso nato a Pisa"

Foto
Museo Archeologico Nazionale di Firenze
La mostra di Palazzo Sarcinelli, intitolata "EGITTO. Viaggio verso l'immortalità", è stata pensata dall'egittologa Maria Cristina Guidotti, già curatrice della sezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Da questo straordinario Museo proviene la totalità delle opere esposte a Conegliano. 

Ma quando arrivarono queste opere a Firenze? E, soprattutto, chi andò materialmente in Egitto per portarle in Italia?

Ripercorriamo il corso della storia fino agli inizi dell'Ottocento. La nostra storia inizia in Toscana, il protagonista è uno studioso nato a Pisa. Il suo nome è Ippolito Rosellini, un uomo capace di unire la sua tenacia a una profonda passione: l’egittologia. Affascinato dall’ingegno di Jean-François Champollion, il giovane francese che aveva decifrato i geroglifici, Rosellini strinse con lui un rapporto di amicizia e collaborazione intorno al 1826. La loro intesa, basata sullo scambio di idee ed esperienze, portò a concepire un’ambiziosa spedizione archeologica in Egitto.

Grazie al sostegno del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, Rosellini ottenne i finanziamenti per realizzare una missione condivisa con i francesi. Champollion stesso desiderava verificare sul campo la validità delle sue teorie sulla decifrazione dell'antica lingua egizia. Nel 1827, la spedizione venne organizzata: Rosellini avrebbe guidato la commissione toscana, mentre Champollion sarebbe stato a capo di quella francese. L’obiettivo comune era documentare i monumenti egizi sconosciuti, realizzare scavi e arricchire i musei con reperti di valore.

Il viaggio ebbe inizio solo l’anno successivo. Partiti da Tolone a luglio del 1828, gli esploratori sbarcarono ad Alessandria d’Egitto il 18 agosto. Nei 15 mesi seguenti, il gruppo – composto da egittologi, disegnatori, botanici e architetti – percorse il Nilo visitando i principali siti archeologici: Giza, Saqqara, Menfi, Tebe, Philae e la Nubia. Durante l'esplorazione, raccolsero un’enorme quantità di materiali: appunti, disegni, copie di testi geroglifici e 76 casse di oggetti antichi.

Per ogni ritrovamento, gli archeologi stabilivano insieme come spartire i reperti tra le due missioni, mantenendo un equilibrio che, col senno di poi, appare discutibile. Corredi funerari vennero divisi, con parti oggi custodite al Louvre di Parigi e altre al Museo Egizio di Firenze. Persino alcuni monumenti subirono sezioni e frammentazioni.

Al termine dell’impresa, Rosellini riportò in Toscana quasi 2000 reperti. Il rientro avvenne nell’autunno del 1829: la spedizione italiana sbarcò a Livorno il 27 novembre. Già nel 1830, Rosellini allestì una mostra presso l’Accademia di Arti e Mestieri di Santa Caterina, in via Cavour a Firenze, esponendo i tesori recuperati. Fu questo evento a segnare la nascita del primo nucleo del Museo Egizio fiorentino.
Foto
Giuseppe Angelelli, "La Spedizione Franco-Toscana", 1836
Tra le testimonianze più evocative dell’impresa c’è il dipinto di Giuseppe Angelelli, visibile all’ingresso del Museo Egizio di Firenze. Sullo sfondo della maestosa Luxor, il quadro ritrae Rosellini con il suo mantello bianco e la barba rossa, accanto a Champollion seduto con una scimitarra. Tra i membri della spedizione spicca Alessandro Ricci, medico e disegnatore senese, raffigurato di spalle con un calcagno scoperto, segno della puntura di scorpione che, purtroppo, gli fu fatale al ritorno in patria.

Grazie alla collaborazione con Champollion, Rosellini e i sei membri toscani della spedizione gettarono le basi dell’Egittologia moderna. I loro studi e il patrimonio documentario raccolto includono oltre 1300 disegni e migliaia di testi geroglifici. Un contributo inestimabile a una scienza allora agli albori.​
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    Daniel Buso

    Storico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA

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