“Ho conosciuto in Italia il più grande pittore vivente”.
Così si riferiva ad Antonio Mancini, il grande pittore statunitense John Singer Sargent. Di carattere riservato e modesto, Mancini dimostra fin da giovane un gusto innato per la ‘bella pittura’ e un precoce talento naturale, tanto da essere presto considerato un enfant prodige destinato a un grande avvenire. La fama di predestinato se la costruisce da solo quando, adolescente, giunge a Napoli e visita le chiese dove apprende la complessità tecnica del ricco patrimonio di pittura seicentesca in esse custodito: da Caravaggio a Battistello Caracciolo, da Rivera a Stanzione, da Luca Giordano a Mattia Preti. A questa formazione iniziale, Mancini accompagna presto la frequentazione dello studio di Stanislao Lista e di Filippo Palizzi per orientare la sua pittura verso un più rigoroso naturalismo. Questo è il bagaglio culturale e formativo con cui l’artista – romano di nascita ma napoletano di adozione – accarezza fin dai primi anni settanta il sogno di trasferirsi a Parigi per imporre la sua arte a livello internazionale. Una strada perseguita a quel tempo da molti suoi amici e compagni di studio, come Alceste Campriani e Francesco Paolo Michetti. A gestire commercialmente i suoi affari è, in questi anni, il conte Albert Cahen, compositore belga di successo e suo primo affezionato ‘mecenate’. Nell’ottobre 1871 questi fa esporre a Parigi cinque tele di Mancini nella vetrina di Alphonse Portier, proprietario di un negozio di articoli di belle arti in Rue de La Rochefoucauld. Il pittore Gérome, pur riconoscendone il talento, lo mette in guarda dalla troppa facilità di mano e dal non finito, mentre lo esorta a porre maggiore attenzione nell’uso degli “accessori”. Nel 1872 Mancini espone al Salon parigino due opere. I suoi quadri appaiono caratterizzati da una espressività di forte impronta napoletana. Nel 1874 Mancini conosce Mariano Fortuny con cui stabilisce un rapporto di affettuosa e sincera amicizia, al punto da fargli dono di un quadro (Saltimbanco dopo lo spettacolo, 1874, Florida, The Gilgore Collection). Il nobile gesto si rivela presto una mossa strategicamente fortunata, poiché l’opera viene venduta a Parigi nel 1875 al mercante Ledelmayer per 930 franchi, durante l’asta dell’atelier di Fortuny, scomparso prematuramente a Roma. 15 giorni dopo la vendita Mancini parte alla volta di Parigi. Grazie a Cahen partecipa all'ambiente culturale della capitale francese ed ha l’opportunità di entrare nell’atelier di Manet conoscendo alcuni esponenti dell’Impressionismo, che giudica “nu poco presuntuosi”. A Parigi entra nella cerchia dei già celebri Boldini e De Nittis e conosce Degas. Le componenti stilistiche di Mancini sono l’aderenza alla narrativa veristico-sentimentale, la mitizzazione dei personaggi ritratti, la capacità di recuperare la dimensione epica e monumentale della pittura seicentesca, la reciproca suggestione fra figura e ambiente sentita in una mobile unità di impianto e la complessa sintesi cromatica, chiaroscurale e luminista, tesa a creare una realtà di forme da cui traspare una vibrata intensità di vita morale. I suoi soggetti sono spesso scugnizzi dei vicoli, poveri studenti e altri umili soggetti dove l’attenta descrizione del vero si fa evocazione commossa di una realtà dalla misura antica. La mostra "Dagli Impressionisti a Picasso" ospita il ritratto di "Lady Phillips" dipinto nel 1909.
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Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Gennaio 2024
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