"Il simbolo della tragedia afghana"La fotografia più celebre di Steve McCurry rappresenta l’immortale immagine della ragazza afgana. L’istantanea venne realizzata in Pakistan, vicino Peshawar, precisamente dentro un campo profughi. Pubblicata nel giugno del 1985, la ragazza afghana è stata il volto di molte campagne di solidarietà, promosse, ad esempio, da Amnesty International. La fotografia che Steve McCurry scattò alla giovane ragazza, molti anni prima di conoscere il suo nome, è diventata simbolo della tragedia afghana e della dignità con cui il suo popolo ha affrontato la guerra e l’esilio. Un’immagine catturata in uno dei luoghi più inospitali della terra, ovvero uno spazio per i rifugiati. Rappresentando questo luogo di dolore, McCurry ha inteso sensibilizzare il pubblico nei confronti delle atrocità che vi si commettono e delle condizioni precarie in cui versa una parte dell’umanità. La fotografia ha una genesi quasi casuale: un giorno, passeggiando per il campo Nasir Bagh, McCurry sentì delle giovani voci provenire da una tenda adibita a scuola e si avvicinò chiedendo all’insegnante il permesso di immortalare con la sua macchina fotografica la lezione in corso. Ottenuto il permesso, il fotografo venne subito colpito dagli occhi magnetici di un’allieva che rimaneva un po’ defilata. “Mi accorsi subito di quella ragazzina. Aveva un’espressione intensa, tormentata e uno sguardo incredibilmente penetrante – eppure aveva solo dodici anni. Siccome era molto timida, pensai che se avessi fotografato prima le sue compagne avrebbe acconsentito più facilmente a farsi riprendere, per non sentirsi meno importante delle altre”. Seppur concepita e realizzata in pochi secondi, l'immagine risulta perfetta e rivela immediatamente la capacità di McCurry di stabilire un intenso, seppur effimero, rapporto con i propri soggetti. Dopo la pubblicazione della foto sulla copertina del National Geographic, McCurry racconta di come successe il finimondo in redazione. “Sono stati sommersi dalle lettere. Tutti volevano sapere chi era, aiutarla, mandare soldi, adottarla, uno la voleva persino sposare.” "I suoi occhi continuavano a trasmettere tutta la forza interiore del soggetto"La ragazza, di nome Sharbat Gula, rimase sconosciuta per oltre 15 anni dalla pubblicazione dello scatto sulla rivista, finché il fotografo non riuscì a ritrovarla.
Partito per una spedizione con una squadra del National Geographic, nel 2002 giunse in Pakistan. Il campo profughi di Peshawar stava per essere demolito, McCurry aveva un’ultima possibilità di rivedere la ragazza. Iniziò la ricerca mostrando la sua foto ad alcuni anziani del campo e, una volta sparsa la voce, diverse donne arrivarono affermando di essere la bambina del ritratto. Dopo alcuni giorni andati a vuoto la spedizione stava per prendere la via del ritorno, finché l’arrivo di uomo stravolse i piani. Quest’ultimo assicurava che Sharbat era viva, si era sposata ma era tornata da diversi anni in Afghanistan. Così, dopo un lungo e pericoloso viaggio, McCurry tornò nel paese ancora in guerra e rivide la ragazza con la stessa carica emotiva con cui l’aveva lasciata. “La sua pelle è segnata, ora ci sono le rughe, ma lei è esattamente così straordinaria come lo era tanti anni fa” disse in un’intervista al The Guardian “Le spiegai che la sua immagine aveva commosso moltissime persone, ma non sono sicuro che la fotografia o il potere della sua immagine significassero davvero qualcosa per lei o che fosse in grado di capirli fino in fondo”. Nonostante l’aspetto di Sharbat fosse completamente mutato, anche a causa delle dure prove che la vita in guerra le aveva riservato, i suoi occhi continuavano a trasmettere tutta la forza interiore del soggetto. Steve McCurry fu molto riconoscente alla donna che gli aveva donato fama internazionale. Egli infatti contribuì ad aiutarla in molti modi, ad esempio fornendo a lei e al marito i mezzi per effettuare il pellegrinaggio alla Mecca. “Era il sogno più importante della loro vita e senza quella foto non si sarebbe mai realizzato. È stato bello poterle rendere almeno in parte ciò che le dovevo”. Articolo a cura di Daniel Buso Per info sulla mostra di Pisa clicca il pulsante qui in basso.
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Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Gennaio 2024
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