"La morte di Floyd è divenuta il simbolo della violenza sistematica della polizia"Una delle sezioni della mostra American Beauty. Da Robert Capa a Banksy affronta le condizioni degli afroamericani negli Stati Uniti, iniziando dai movimenti civili degli anni Sessanta fino ai giorni nostri. Nel 2013 ha iniziato a circolare l'hashtag #BlackLivesMatter, traducibile in “le vite delle persone nere contano”. Dall'hashtag ha preso il via un movimento per i diritti civili di grande attualità. Il Black Lives Matter si è sviluppato all'interno della comunità afroamericana statunitense, in reazione a svariati omicidi di persone nere da parte delle forze di polizia e, in particolare, contro l'assassinio (rimasto impunito) del diciassettenne Trayvon Martin. I sostenitori si sono scagliati, più in generale, contro le politiche discriminatorie ai danni della comunità nera. A partire dal 2020, il video del brutale arresto di George Floyd, culminato nell'omicidio, ha suscitato reazioni internazionali. La morte di Floyd è divenuta il simbolo della violenza sistematica della polizia, chiaro sintomo di un razzismo ancora endemico negli Stati Uniti. L'episodio è stato seguito da un'ondata di proteste senza precedenti in tutto il mondo, rendendo il Black Lives Matter un movimento internazionale. Il presidente Joe Biden ha parlato di “razzismo strutturale”, riportando l'attenzione su un tema che poteva sembrare superato. Il dibattito, negli ultimi tre anni, si è allargato portando l'attenzione sulle vite di tutti gli immigrati in Occidente, fino alla discussione sulla restituzione delle opere d'arte ai popoli saccheggiati durante il periodo coloniale. Tali riflessioni non sono chiaramente inedite nella società americana. L'intera storia del paese è attraversata da contraddizioni a sfondo etnico, spesso rimaste irrisolte. I frequenti casi di brutalità e uso della forza da parte delle forze dell'ordine statunitensi determinarono la nascita del movimento per i diritti civili già a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. La novità nell'episodio dell'omicidio di Floyd sta nel medium con cui è stato diffuso: un video su YouTube. La potenza pervasiva del digitale ha determinato una visibilità del fenomeno impensabile nei decenni precedenti. "La marcia di Selma"La fotografia di Steve Schapiro, esposta in mostra, ci porta nel 1965, nel cuore dell'evento che cambiò la storia dei diritti civili negli Stati Uniti. Schapiro, fotografo newyorkese fedele alla poetica di Cartier-Bresson, fu un osservatore molto attento delle rivendicazioni delle minoranze, impiegando spesso il proprio medium per il racconto delle manifestazioni a sfondo politico. Il 7 marzo 1965 si tenne la prima marcia che dalla cittadina di Selma tentò di arrivare a Montgomery in Alabama. Seicento persone, tutte afroamericane, manifestarono in modo pacifico per chiedere il diritto di voto e la fine della segregazione razziale. Il corteo fu vittima di una violenta carica della polizia. Le immagini degli scontri indignarono il mondo e convinsero il presidente Lyndon Johnson a promulgare la legge sul diritto di voto per i neri. La marcia venne organizzata da Martin Luther King. Nonostante gli scontri, il leader del movimento per i diritti civili della minoranza afroamericana ne organizzò in seguito altre due. Con l'ultima, il 25 marzo del 1965, riuscì a radunare 25 mila persone che raggiunsero il palazzo del governatore dell'Alabama dove King pronunciò uno dei suoi più celebri discorsi: “How long? Not long”. Obama nel 2015 tornò a Selma e propose a sua volta un emozionante discorso. Queste alcune delle parole pronunciate: “Un errore comune è pensare che il razzismo sia stato sconfitto, che il lavoro iniziato dagli uomini e dalle donne che erano presenti qui a Selma sia concluso, e che ogni tensione razziale rimasta sia frutto di situazioni contestuali. Sappiamo che la marcia non è ancora finita, che la battaglia non è ancora stata vinta”. "Fighting Shirley"Il fotografo Maurice Sorrell spese buona parte della sua carriera nello sforzo di catturare la storia del movimento per i diritti civili nel profondo sud. Non era insolito per Sorrell trovarsi di fronte a folle inferocite e cani poliziotto o essere esposto a gas lacrimogeni mentre fotografava i leader dei diritti civili. Tra questi un posto di primo piano spetta a Shirley Chisholm, la prima donna afroamericana ad essere eletta nel Congresso americano.
Nata a Brooklyn negli anni Venti, Chisholm decise, fin dai tempi del college, di intraprendere la carriera politica. “Fighting Shirley”, così la chiamavano al Congresso, riuscì a introdurre più di 50 atti legislativi a sostegno dell'uguaglianza razziale e di genere, della condizione dei poveri e per la fine della guerra del Vietnam. La discriminazione, tuttavia, le impedì di partecipare alle primarie del Partito Democratico del 1972. Le fu vietato di prender parte ai dibattiti televisivi e, a seguito di una azione legale, le fu concesso di fare un solo discorso. Riuscì ad ottenere il 10% di voti, nonostante una campagna sottofinanziata e le costanti polemiche di politici e media americani.
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"Al centro del centro del mondo"La casa di Giorgio de Chirico occupa i tre piani superiori del seicentesco Palazzetto dei Borgognoni al n. 31 di piazza di Spagna a Roma. L’artista visse qui gli ultimi trent’anni della sua vita, insieme alla seconda moglie Isabella Pakszwer Far che continuò ad abitarvi fino alla sua scomparsa. Arrivato a Roma da Firenze nel 1944, dopo un lungo girovagare tra diverse città europee e un soggiorno importante a New York, de Chirico risiedette definitivamente nella casa di piazza di Spagna dal 1948, all’età di sessant’anni. L’abitazione è collocata in una posizione “strategica”, nel cuore di quello che fu considerato il centro culturale e artistico della città fin dal Seicento – con gli atelier di via Margutta e via del Babuino, le gallerie, lo storico Caffè Greco in via Condotti, l’affascinante scenario di Trinità dei Monti e di Villa Medici –, e rappresentò per l’artista maturo il luogo ideale dove stabilirsi e continuare a lavorare. Nel 1945 così scriveva l’artista a proposito di un suo trasferimento nella capitale: “Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi, si abiterebbe nel centro del centro del mondo, quello che sarebbe il colmo in fatto di centrabilità ed il colmo in fatto di antieccentricità”. Grazie al lascito di Isabella Far e al restauro degli ambienti e degli arredi, eseguito con rigore filologico, oggi casa de Chirico è accessibile al pubblico. Inaugurata il 20 novembre 1998, ventennale della scomparsa del Maestro, offre un’occasione esclusiva per avvicinarsi al mondo privato dell’artista e accedere al suo originale immaginario artistico, in un sorprendente e suggestivo intreccio tra arte e vita. "Una sontuosa living gallery"I sontuosi ambienti del piano principale immergono in una visione rubensiana di grandi saloni di stile seicentesco, con un cospicuo numero di opere, alcune in preziose cornici dorate, tende damascate color rosso (realizzate ex novo in base a quelle originali), argenti, putti in legno, tavolini di marmo e poltroncine stile Luigi XVI. Concepita così come una suntuosa living gallery, questa rappresenta la parte più vitale della casa, vivace luogo di incontri e ricevimenti.
Dipinti e sculture sono esposti secondo il progetto espositivo della Fondazione (che viene rinnovato con una cadenza semestrale) con l’obiettivo di far conoscere al pubblico i diversi soggetti e temi elaborati dal Maestro, lungo un percorso affascinante: dalla selezione di opere degli anni Quaranta e Cinquanta – tra cui alcuni mirabili d’apres dai Grandi maestri, ritratti di Isabella e autoritratti – passando per il particolare corpus delle “Vite silenti” esposte nella sala da pranzo, fino alla produzione pittorica degli ultimi dieci anni della sua carriera, il periodo cosiddetto “Neometafisico”, visibile nella parte nuova della casa, acquistata verso la fine degli anni Sessanta. Le sculture, come presenze silenziose disseminate nei vari ambienti, raccontano i miti classici reinterpretati secondo l’immaginario dechirichiano o i personaggi della sua personale mitografia. Salendo le scale che conducono al secondo piano, si raggiungono gli ambienti più intimi della casa: le stanze da letto e lo studio dell’artista. Quest’ultimo ambiente rappresenta senza dubbio il luogo più suggestivo della casa. La luce che filtra dall’ampia apertura del soffitto si posa sul cavalletto del Pictor Optimus e sui numerosi oggetti del mestiere utilizzati dal Maestro e lasciati lì come pronti per il prossimo lavoro. Diversi modelli in gesso di statue antiche, gladiatori e cavalli, sovrastano la biblioteca personale dell’artista, ricca di preziose monografie – da Watteau a Courbet, Delacroix, Rubens e molti altri. Un’ampia terrazza costituisce l’ultimo piano della casa, il luogo dove de Chirico amava sostare durante il giorno per ammirare lo spettacolo di Roma e della Natura. Infine, negli ambienti in cui attualmente sono presenti gli uffici della Fondazione – un tempo la cucina di casa de Chirico – è ospitata la biblioteca, costituita da numerose edizioni degli scritti dell’artista, cataloghi di mostre monografiche e collettive, saggi e monografie, consultabili su richiesta. |
Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Febbraio 2025
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