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IL BLOG DI ARTIKA

GALLERIE DELL'ACCADEMIA. PARTE 4

30/3/2021

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Anno 1510, muore Giorgione.
A questa data il Rinascimento a Venezia è un fatto compiuto.
Nel 1513 Tiziano scrive una lettera al potente Consiglio dei X, principale organo politico della città. Nel testo il pittore cadorino si offre di dipingere gratuitamente un'opera per Palazzo Ducale. In cambio chiede uno spazio vacante per aprirsi lo studio nel Fondaco dei Tedeschi.
L'episodio segna l'ingresso del Vecellio in un mercato che appariva chiuso dall'ingombrante figura di Giovanni Bellini.

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Fig.1: "Assunta", Tiziano Vecellio, 1516-1518, Frari, Venezia
Prima di tornare a solcare le sale delle nostre amate Gallerie dell'Accademia, vi propongo una breve deviazione nel sestiere veneziano di San Polo. Qui sorge l'imponente basilica gotica dedicata a Santa Maria Gloriosa, meglio nota come i Frari. Scrigno traboccante di capolavori artistici dove trovano riposo personaggi illustri della Serenissima come Antonio Canova, l'ambiguo Conte di Misurata (fondatore, tra le altre cose, di Porto Marghera) e, ovviamente, Tiziano.

Nel presbiterio troneggia, dal 1518 circa, l'imponente pala commissionata a Tiziano due anni prima. Sto parlando dell'Assunta, opera che rappresenta il primo squillo internazionale del Cinquecento veneto [fig.1]. La composizione è strutturata in tre ordini: gli apostoli in basso, stupiti ed agitati per l'evento miracoloso. In mezzo svetta la Vergine, investita da una luce potente e circondata da una folla di angeli in festa. In alto, chiude il cerchio, Dio Padre, il quale attira a sé la Donna con sguardo pieno d'amore.

L'aspetto tecnico-compositivo più efficace sta nella costruzione geometrica. Tiziano costruisce un triangolo di rossi (vedasi i due apostoli in basso e la vergine nel mezzo, oltre al dettaglio del mantello di Dio); triangolo che letteralmente trascina il nostro sguardo in un'estasi mistica verso l'alto.

L'opera segna la consacrazione definitiva dell'artista, ad appena tre anni dalla sua umile lettera di richiesta al Consiglio dei X, grazie alla sua clamorosa potenza visiva e alla sua intrinseca bellezza. La concitazione delle pose dei personaggi conferisce grande dinamismo alla composizione, mentre nella resa dei volti Tiziano esprime tutta la sua visione umanistica e autenticamente rinascimentale.

"Uno dei soggetti più amati e diffusi nel Cinquecento veneto"

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Fig.2: "Madonna col Bambino e san Giuseppe tra i santi Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria", Palma il Vecchio e Tiziano Vecellio, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Oltre alla onnipresente bottega di Bellini, Tiziano ai suoi esordi si confronta con un altro pittore della generazione precedente: Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio. Le Gallerie dell'Accademia ospitano un importante capolavoro che testimonia la collaborazione tra i due pittori.

La composizione è intitolata Madonna col Bambino e san Giuseppe tra i santi Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria [fig.2]. Essa rientra nella tipologia delle "sacre conversazioni" di formato orizzontale, i cosiddetti quadri di Madonne di cui ho scritto nella seconda parte del mio racconto dedicato al museo veneziano [ACCADEMIA. PARTE 2].

La Madonna col Bambino + santi è senza dubbio uno dei soggetti più amati e diffusi nel Cinquecento veneto, prediletto principalmente dalla committenza privata. L'imponente formato di questa tela (quasi due metri di larghezza) suggerisce l'appartenenza ad un facoltoso veneziano, di cui purtroppo ci sfugge l'identità.

Le figure sono assembrate nel primo piano della composizione, senza il sostegno di una struttura architettonica. Ciononostante esse sono dipinte con straordinaria naturalezza ed esprimono tutta l'humanitas e la rappresentazione degli affetti che hanno reso estremamente dolce e piacevole la contemplazione dei dipinti di Tiziano Vecellio.

L'opera non è soltanto di Tiziano. Il dipinto viene iniziato da Palma il Vecchio, quindi, alla sua morte, si inserisce il pittore cadorino con la sua ventata di modernità. L'intervento di Tiziano si concentra principalmente nella testa e nel manto di Santa Caterina, oltre che nel paesaggio (non a caso i dettagli più affascinanti di tutta l'opera).

"La diffusione del Classicismo in laguna"

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Fig.3: "La presentazione della Vergine al tempio", Tiziano Vecellio, 1534-1538, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Spesso non consideriamo che l'edificio che ospita le Gallerie dell'Accademia abbia avuto una vita prima di essere un museo. Qui si trovava il complesso della Carità, con l'omonima Scuola Grande dalle importanti funzioni di carità, assistenza e inclusività sociale per gli abitanti della città.

Tiziano dipinge questo capolavoro per i confratelli della Scuola, tra il 1534 e il 1538 [fig.3]. Siamo quindi in "presenza" di una delle rare opere pensate per questa sede e qui rimaste nei secoli. L'incontro virtuale non restituisce l'emozione ma i due rettangoli bianchi nella parte bassa della foto suggeriscono la presenza di due porte. Tiziano dipinge tenendo in considerazione solo quella di destra, dal momento che la sinistra verrà aperta più di un secolo dopo.

La scena è organizzata all'interno di un'ambientazione classicista. Siamo nel periodo in cui la moda per l'antico sta dilagando nella penisola italica. A Venezia il doge Andrea Gritti (in carica dal 1523 al 1538) propone la sua renovatio urbis incaricando ufficialmente Sansovino, il grande architetto fiorentino, massimo rappresentate del classicismo e predecessore di Andrea Palladio.

​La tradizionale scalinata con i 13 gradini (come 13 sono i cosiddetti "salmi graduali") è rappresentata efficacemente in scorcio dal basso fino all'ingresso del tempio. Qui Maria è attesa dal sommo sacerdote e da un uomo abbigliato come un cardinale del Cinquecento. La Vergine è contornata da un ovale di luce che evidenza la sua superiorità divina rispetto al resto dei personaggi dipinti.

L'assembramento alle sue spalle è significativo, con persone che si affacciano curiose dalle balconate per assistere all'episodio sacro. Oggi l'identità della maggior parte dei personaggi è sconosciuta (sono stati identificati solo i volti di due confratelli della Scuola della Carità); ma i contemporanei dovettero rimanere estasiati riconoscendosi con perfetto realismo tra le eleganti figure dipinte dal pennello di Tiziano.

"Non fu mai veduta cosa più bella né migliore, né di disegno né di colorito"

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Fig.4: "San Giovanni Battista", Tiziano Vecellio, 1540 c., Gallerie dell'Accademia, Venezia
"Non fu mai veduta cosa più bella né migliore, né di disegno né di colorito", così si esprime Ludovico Dolce, letterato, e grande estimatore di Tiziano, nel 1557, riferendosi a questo dipinto firmato "Ticianus" [fig.4]. Il Dolce prosegue celebrando soprattutto il disegno e il "colorito".

La figura si impone imperiosa al centro del dipinto, accompagnata dai suoi proverbiali attributi, ovvero l'agnello sacrificale (prefigurazione cristologica), la tunica in pelle di cammello e il crocifisso in legno povero. L'ambientazione è particolarmente suggestiva con la rupe che incombe sulla sinistra e il ruscello a destra che prorompe in una piccola cascata.
​
L'anatomia del Battista è praticamente perfetta. Ogni singolo muscolo è stato definito con estrema cura e guardandolo con attenzione possiamo percepire la tensione del movimento di questo santo eccezionalmente atletico (soprattutto per un uomo in pellegrinaggio in lande deserte). La muscolarità rinvia all'influenza dell'arte di Michelangelo. Tiziano e il divino scultore si conosceranno qualche anno dopo questo dipinto, ma le riproduzioni delle sue opere circolavano già da tempo a Venezia.

Tiziano si presenta così come il perfetto punto di incontro tra la perfezione del disegno sviluppata nelle regioni centrali della penisola italica e il cromatismo autenticamente veneto. 

L'opera viene eseguita per la chiesa di Santa Maria Maggiore a Venezia. Nel 1807, a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi, il dipinto avrebbe dovuto lasciare la città. Interviene a quel punto Pietro Edwards, tenace restauratore, il quale riesce a trasferire il San Giovanni Battista nei depositi da cui sarebbero nate le Gallerie dell'Accademia.

"La lezione dell'ultimo Tiziano sarà compresa molto tempo dopo"

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Fig.5: "PietĂ ", Tiziano Vecellio, 1575-1576, Gallerie dell'Accademia
Eccoci arrivati al testamento di Tiziano. Forse l'ultimissima opera dipinta dal grande maestro e destinata alla cappella del Cristo nella chiesa dei Frari, in cambio della concessione di esservi sepolto.

Il capolavoro, oggi alle Gallerie dell'Accademia, viene dipinto a partire dal 1575 [fig.5]. Siamo nel pieno di una terribile pandemia: la peste nel giro di un solo anno uccide un veneziano su tre. Tiziano è vecchio e solo. La sua vita professionale è stata un trionfo, ma la sua condizione umana è quella del sopravvissuto. Nell'avanzare della sua vecchiaia sono venute a mancare molte delle persone a lui care: prima fra tutte la moglie Cecilia (defunta già nel 1530). Quindi quella peste terribile si porta via il figlio prediletto, altrimenti destinato a diventare suo erede: Orazio Vecellio.

Tiziano lo segue a stretto giro, morendo appena un mese dopo. Non conosciamo nel dettaglio la storia dei suoi ultimi giorni, ma probabilmente l'assenza di affetti conduce rapidamente il corpo del Maestro alla consunzione. 

Nella Pietà vediamo l'autoritratto di Tiziano, inginocchiato ai piedi di Cristo, traslato nella figura penitenziale di Giuseppe d'Arimatea (o Nicodemo). La tecnica con la quale dipinge l'opera è straordinaria: caratterizzata da colori cupi stesi con pennellate ricche e veloci, vibranti di luce. La lezione dell'ultimo Tiziano sarà compresa molto tempo dopo, forse solo nell'Ottocento. Di questa breve parentesi stilistica ci rimane un'immagine emozionante (a metà tra storia e mito) in cui ci sembra di vedere l'anziano pittore, ormai praticamente cieco, che dipinge il suo capolavoro apponendovi il colore con le dita, oltre che con il pennello.

Il grande pittore cadorino non lascia allievi né figli capaci di perpetuarne il talento nei decenni successivi. Al figlio Pomponio basteranno soltanto cinque anni per dilapidare tutto il patrimonio di uno dei pittori più ricchi della storia.

​--

Bene! Siamo giunti alla conclusione del quarto capitolo dedicato alle Gallerie dell'Accademia. In questa circostanza vi ho parlato solo di Tiziano, ma il più grande artista del Rinascimento veneto meritava un capitolo tutto suo. Al nostro prossimo incontro affronterò la figura dell'artista che più di ogni altro è legato a Venezia: Jacopo Tintoretto. Mi soffermerò anche sul rapporto, spesso conflittuale, con il suo grande rivale: Paolo Veronese.
A presto quindi, con il nuovo capitolo del Blog di ARTIKA!

Articolo a cura di Daniel Buso
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GALLERIE DELL'ACCADEMIA. PARTE 3

22/3/2021

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Alla fine del Quattrocento Venezia ha raggiunto la sua massima estensione territoriale. I grandi artisti, come Bellini e Vivarini, ne rappresentano lo gloria e la potenza.

​Nel frattempo, però, grandi potenze da Occidente e da Oriente tramano contro la città e ne metteranno a dura prova la stabilità lungo tutto il corso del Cinquecento.

Grandezza e decadenza! Tra questi due poli estremi scorre la vita in laguna.

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"Veduta di Venezia", Jacopo de' Barbari, 1500, Museo Correr, Venezia
Nel 1494 una ventata di novità spira dal Nord Europa. In quell'anno valica le Alpi un artista le cui incisioni riscuoteranno grande successo: Albrecht Dürer. La natura aspra e selvatica, da lui dipinta, appare subito più "vera" di quella plasmata dall'uomo, così come la si poteva vedere nelle opere di Giovanni Bellini.

L'incisione conosce così il suo periodo di maggior successo in laguna, anche se i primi esperimenti sono riconducibili al lontano 1425, da parte di Cristoforo Cortese. Il pittore veneziano che più si dedica a questa tecnica è Jacopo de' Barbari, che nel 1500 esatto realizza l'immortale pianta prospettica della città di Venezia [fig. 1].

La veduta riscuote, fin dalla sua prima apparizione, un entusiasmo unanime. L'impresa, costata più di tre anni di lavoro, viene affidata all'editore tedesco Anton Kolb che ottiene il privilegio di stamparla. Si tratta della prima veduta d'insieme realistica della città, ripresa a "volo d'uccello". Prima della stampa le immagini vengono sottoposte al vaglio del Consiglio dei X che ordina all'autore di alterare la disposizione dei canali, ma soprattutto di nascondere la reale conformazione dell'arsenale. Lo scopo della veduta è mostrare al mondo la sublimità di Venezia, senza svelarne però i segreti!

Nel 1495 arrivano a Venezia i trittici di Hieronymus Bosch (forse arriva prima lui, ma il viaggio non è provato). I riflessi della sua proverbiale fantasia allucinata riverberano nelle opere di alcuni artisti locali: Marcantonio Raimondi, il Savoldo e, soprattutto, Giorgione.​

"La costruzione di un'atmosfera unificata e piena di luce"

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Fig. 2: "Autoritratto come David", Giorgione, 1509-1510 c., Herzog Anton Ulrich Museum, Braunschweig
Negli anni di cui si va discorrendo, si compie la formazione di un genio: Giorgione, appunto. Il grande pittore da Castelfranco si distacca presto dal mondo figurativo costruito nei decenni da Giovanni Bellini, ne rifiuta lo stile e l'attenzione spasmodica (tipicamente inizio-rinascimentale) per la costruzione prospettica.

Nel costruire la sua particolare visione, Giorgione preferisce rivolgersi a Bosch, piuttosto che ai maestri lagunari. Progressivamente il pittore raggiunge così una sua dimensione che sarà celebrata in tutto il mondo: la costruzione di un'atmosfera unificata e piena di luce.

Un altro artista che lascia un'impatto fondamentale nel suo stile è Leonardo Da Vinci. Quest'ultimo visita la Serenissima e lascia traccia del suo passaggio tra il 1499 e il 1500. Vasari, il grande biografo del Rinascimento, ci ricorda: "aveva veduto cose di mano di Lionardo [...] e questa maniera gli piacque tanto che mentre visse sempre andò dietro a quella".

Il nuovo secolo si sta aprendo e sarà interamente segnato dalla bruciante carriera di Giorgione.

"Dipinse anche quello che non si può dipingere, tuoni, lampi e fulmini"

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Fig. 3: "Tempesta", Giorgione, 1502-1503 c., Gallerie dell'Accademia, Venezia
Il mondo di Giorgione è estremamente morbido, fatto sia di luci intense che colpiscono le forme, sia di ombre capaci di conferire misteriosità alle composizioni. La sua carriera accelera rapidamente anche grazie a una novità assoluta che l'Arte propone in questo periodo: ovvero l'imitazione della pittura antica.

La moda per l'antico deriva in parte dagli scavi archeologici contemporanei che portano alla luce importanti tesori del passato. Ma, d'altro canto, la passione per gli antichi si sviluppa sulla base di suggestioni letterarie ispirate a opere d'arte perdute per sempre e di cui resta flebile memoria nei manoscritti sopravvissuti, come la Naturalis historia di Plinio.

​Nella Tempesta Giorgione sembra cogliere la sfida di Apelle, il quale "dipinse anche quello che non si può dipingere, tuoni, lampi e fulmini". Inoltre, attraverso quest'opera, l'artista rivela la sua originalità: protagonista non è più un gruppo di figure con una storia precisa ma il paesaggio!

L'interesse che Giorgione ha per la natura è in linea con gli sviluppi della poesia a lui contemporanea. L'Arcadia di Sannazaro è, in tal senso, il manifesto programmatico di questa passione, che vede le stampe nel 1504 a Venezia.

La Tempesta 
è tra i dipinti più suggestivi della storia dell'arte, oltre ad essere tra i "pezzi" che rendono indispensabile una visita alle Gallerie dell'Accademia. Fiumi di inchiostro sono stati spesi in opere di un'opera che oggi, a più di 500 anni dalla sua nascita, continua a suscitare grandi emozioni e nodi interpretativi probabilmente inscioglibili.

"Più complessa rispetto alla consueta meditazione sulla morte e sul tempo che scorre"

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Fig. 4: "La vecchia", Giorgione, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Oltre alla natura, un altro aspetto che rende estremamente moderno Giorgione è l'attenzione psicologica nel ritratto. A questi apici di introspezione arriverà anche Raffaello, un decennio più tardi, e Tiziano, che della maniera di Giorgione è il naturale continuatore.

Il fascino dello stile di Zorzi da Castelfranco non colpisce solo le nuove generazioni, anche le precedenti ne subiscono talvolta l'effetto magnetico. Mi riferisco a Giovanni Bellini (del resto sempre attento ad assimilare le novità), il quale testimonia il suo omaggio al nuovo genio nella monumentale Pala di San Zaccaria, ancora oggi esposta nella chiesa omonima.

​Le Gallerie dell'Accademia ci offrono la vista di uno dei pochi dipinti sicuramente autografi di Giorgione: La vecchia. Se non ne conoscessimo i passaggi ereditari, potremmo agevolmente confonderlo con un dipinto dell'Ottocento, un Courbet, ad esempio.

Il soggetto è estremamente particolare: un'anziana signora dipinta con assoluto, e per certi versi, impietoso, realismo. Il viso della donna mostra tutti i segni dell'età, dalle rughe alla dentatura imperfetta. Come sempre con Giorgione, un alone di mistero circonda l'opera.

Il dipinto appartiene al genere della vanitas, come suggerisce il cartiglio che tiene in mano il soggetto con la scritta "col tempo". Eppure, dall'inventario Vendramin del 1601 (dove si trovava il dipinto) compare un documento secondo il quale La vecchia sarebbe stata abbinata ad un'effige maschile andata perduta. Tale combinazione contribuiva, forse, ad una tematica più complessa rispetto alla consueta meditazione sulla morte e sul tempo che scorre.

"La sua mimica naturale suggerisce l'emissione di un canto"

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Fig. 5: "Il Concerto", Giorgione, 1507 c., Gallerie dell'Accademia, Venezia
In questi giorni le Gallerie dell'Accademia ospitano un motivo in più per andarci: Il Concerto di Giorgione. Si tratta di un prestito a lungo termine della collezione Mattioli. Il protagonista, al centro, è rappresentato a bocca aperta, con la fronte aggrottata e il capo roteato. La sua mimica naturale suggerisce l'emissione di un canto.

Come da migliore tradizione giorgionesca, l'opera è avvolta nel mistero. Questa tela cela tante storie, abitualmente visibili solo dai legittimi proprietari, ma che per cinque anni chiunque potrà godere a Venezia.

​Il dipinto è stato a lungo interpretato come una rappresentazione di carattere sacro. L'oggetto che il soggetto principale tiene in mano venne infatti confuso con una pietra. Da questo dettaglio si volle riconoscere nell'uomo l'eroe biblico Sansone, costretto a girare una macina dopo esser stato catturato. 

Più recenti indagini hanno invece dimostrato che l'oggetto in questione dovrebbe essere uno strumento musicale a corda rovesciato. Il cambio di prospettiva ha permesso di identificare l'opera come il dipinto chiamato "Tre grandi teste che cantano" di Giorgione nell'inventario di Gabriele Vendramin, noto committente del pittore da Castelfranco e di Tiziano.

"La persistenza del lessico di Giorgione"

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Fig. 6: "Visitazione", Sebastiano del Piombo, 1508 c., Gallerie dell'Accademia, Venezia
L'altro personaggio del nostro racconto odierno è Sebastiano Luciani, detto del Piombo. Egli è, probabilmente, allievo di Giorgione; anzi spesso i nomi dei due artisti si confondono nei tentativi di attribuzione. Sebastiano esordisce nel 1505 a Venezia nel solco della tradizione belliniana. L'influenza del maestro inizia a intravedersi qualche anno più tardi in alcuni particolari salienti come i gesti e le iconografie spesso ermetiche.

Sebastiano è un pittore capace di raggiungere un successo precoce; anche grazie ad alcune circostanze indipendenti dal suo talento. Innanzitutto il carattere defilato di Giorgione, che lo porta a privilegiare la committenza privata; in secondo luogo la non-ubiquità di Giovanni Bellini, che lascia così spazio a talenti emergenti nei settori pubblici.

Nella storia critica del dipinto che proponiamo leggiamo la grande confusione che spesso regna nel settore delle attribuzioni giorgionesche. La Visitazione è stata infatti, di volta in volta, attribuita ora a Sebastiano, ora a Giorgione e perfino a Tiziano. Le difficoltà derivano soprattutto dalla stretta affinità nello stile dei tre artisti ai primissimi anni del Cinquecento.

La persistenza del lessico di Giorgione la ravvisiamo non soltanto nella dolcezza delle figure, ma anche e soprattutto nel brano paesaggistico. Lo sfondo diroccato, ispirato forse alle stampe di Dürer, è dominante e riflette quella visione naturalistica di cui abbiamo parlato in riferimento alla Tempesta​.

"Capacità di introspezione psicologica"

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Fig. 7: "San Sinibaldo", Sebastiano del Piombo, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Se la Visitazione, di cui si è appena parlato, ci ricorda Giorgione nel paesaggio; i volti dei santi nelle tavole provenienti dalla chiesa di San Bartolomeo esprimo tutta la capacità di introspezione psicologica che Sebastiano del Piombo eredita dal suo maestro.

I santi del ciclo esposto alle Gallerie dell'Accademia sono quattro: Bartolomeo, Sebastiano, Ludovico da Tolosa e Sinibaldo. Quest'ultimo assolutamente raro nella pittura "italiana", ma qui giustificato dal luogo di provenienza dell'opera: la chiesa di San Bartolomeo si trova, infatti, nei presso del Fondaco dei Tedeschi dove gravitava la nutrita comunità di mercanti germanici.

Mi soffermerei proprio sul volto di San Sinibaldo. Il santo di Norimberga, canonizzato nel Quattrocento, appare in una posa estremamente elegante (quasi da modello). Il suo vestiario, sobrio dal collo in giù, è caratterizzato da un elaborato cappello con simbologie araldiche e naturalistiche. Un copricapo goliardico verrebbe da dire, se non conoscessimo la leggenda secondo la quale il santo, dopo la morte, avrebbe tirato un ceffone ad un buffone colpevole di aver tirato la barba al cadavere (e quindi non doveva essere un grande amante degli scherzi). Il volto, come dicevo, è invece estremamente realistico e, alla maniera di Giorgione, il pittore si rivela capace di rivelarci in pochi attimi il carattere serioso e devoto del personaggio.


Sebastiano lavora all'opera appena prima della sua partenza per Roma, che avviene nel 1511. Nella città dei papi il Luciani si troverà a gareggiare con Raffaello per ottenere i favori del pontefice, forte però di un significativo protettore: Agostino Chigi, tesoriere capitolino.

Con Sebastiano del Piombo terminiamo il capitolo odierno dedicato alla figura di Giorgione e alle opere che attorno a lui gravitano nel contesto delle Gallerie dell'Accademia.
Il nostro viaggio nello straordinario museo veneziano però non finisce qui! Vi do appuntamento alle prossime settimane in cui parleremo di altri grandi interpreti del Rinascimento veneto: da Tiziano, passando per Veronese, Paris Bordon e il genio furioso di Tintoretto.

Articolo a cura di Daniel Buso
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GALLERIE DELL'ACCADEMIA. PARTE 2

15/3/2021

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"L'impero veneto è nel suo momento più glorioso "

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Nel 1454, con la pace di Lodi, si completa l'espansione in terraferma di Venezia. Come evidenziato nell'articolo precedente [GALLERIE DELL'ACCADEMIA. PARTE 1], la Serenissima ha lasciato le acque isolate della laguna già da 50 anni, allargandosi secondo la proverbiale "svolta a Occidente".

Venezia diventa così uno "stato da terra", acquisendo lo status di potenza continentale, oltre che marinara. In questo momento l'impero veneto è nel suo momento più glorioso, ma è anche l'inizio della sua fine, che sopraggiungerà più di tre secoli dopo, dopo vicende alterne.

La città non è solo una brutale potenza imperialista, ma è anche l'epicentro del commercio quattrocentesco. A Venezia arrivano le novità da tutto il mondo conosciuto, tra cui le più belle opere d'arte prodotte dai contemporanei. Dalla metà del secolo la Serenissima rinuncia alla sua nota austerità di costumi per trasformarsi nella città più splendida dell'Occidente.

Si sviluppa a questo punto una pittura totalmente veneta, capace di fondere le specificità delle varie regioni "europee" con il glorioso passato all'orientale. Protagonista è ancora la bottega familiare dei Bellini, che ha in Giovanni Bellini: il primo autentico pittore del Rinascimento in laguna.

"Tutto è funzionale per celebrare la ricchezza di Venezia "

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"Processione in piazza San Marco", Gentile Bellini, 1496, Gallerie dell'Accademia, Venezia.
La forza dei Bellini è già evidente con il fratello maggiore di Giovanni: Gentile Bellini. Vicino al linguaggio di Andrea Mantegna, fin dai suoi esordi, sviluppa un suo stile peculiare costruendo figure con linee di contorno precise.

Le sue opere sono caratterizzate da grande realismo, il che ne fa il maggior ritrattista dell'aristocrazia veneta. Tra i suoi capolavori, i grandi teleri celebrativi trovano una posizione fondamentale, aprendo per certi versi alla stagione del vedutismo lagunare.

La Processione in piazza San Marco [foto in alto] è un dipinto monumentale di 347x770 centimetri, destinato alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Gentile dipinge un momento di grande importanza istituzionale: la festa della Santa Croce del 25 aprile 1444, durante la quale avviene il miracolo della guarigione immediata del figlio di un mercante che aveva pregato la reliquia.

Più che una rappresentazione narrativa, l'opera è un fondamentale ritratto pubblico della città. La vastità della piazza, la raffinatezza della basilica di San Marco e Palazzo Ducale sullo sfondo. Tutto è funzionale a celebrare la ricchezza di Venezia. Gentile Bellini, inoltre, sposta ​il Campanile sulla destra per permettere agli osservatori una visione maggiormente completa dei monumenti.

"Un'incredibile capacità di rappresentazione dei sentimenti "

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"Madonna degli Alberetti", Giovanni Bellini, 1487, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Nel sesto decennio del Quattrocento irrompe sulla scena Giovanni Bellini, il maggiore pittore veneziano del secolo. Il suo primo fondamentale capolavoro è il polittico di San Vincenzo Ferrer ancora ospitato nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia.

La novità di Giovanni sta nella sua capacità di creare unità tra gli elementi: linea, volume, colore e luce, tutto è fuso assieme in senso rinascimentale; diversamente dal passato gotico in cui gli elementi erano trattati come entità distinte. A questo senso maturo dello spazio, il Bellini aggiunge la straordinaria rappresentazione delle figure basata sul modello stilistico di Antonello da Messina.

La carriera di Giovanni Bellini è straordinaria e incredibilmente lunga. Già dagli anni '80 il suo stile marca una rottura tra la sua produzione e quella degli altri pittori contemporanei. Egli viene nominato pittore ufficiale di stato con la dispensa dal pagamento delle tasse nel 1483.

Gli incarichi ufficiali sono innumerevoli: dal rifacimento del ciclo pittorico in Palazzo Ducale, alle enormi pale d'altare nelle chiese veneziane. Nel tempo libero Giovanni si dedica alla produzione di quadri di Madonne, diffusi in tutte le case. Qui, anche grazie alla maggior libertà, il Bellini manifesta un'incredibile capacità di rappresentazione dei sentimenti.

Come nel caso della Madonna degli alberetti [foto in alto], in cui il pittore non si limita a dipingere un soggetto sacro ma ci rappresenta con straordinaria efficacia l'eterno tema del rapporto d'affetto tra madre e figlio.

"L'unico in grado di rivaleggiare con Giovanni Bellini "

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"Madonna col Bambino in trono e santi", Alvise Vivarini, 1480, Gallerie dell'Accademia, Venezia
L'alter ego di Giovanni è, in questa fase, il più giovane Alvise Vivarini. Quest'ultimo possiede una minore sensibilità di luce e colore. I suoi paesaggi sono meno raffinati e nella rappresentazione della figura umana non raggiunge l'armonia belliniana. Ciononostante è l'unico in grado di rivaleggiare con Giovanni Bellini.

​L'opera appartiene al filone fortunato delle sacre conversazioni, una tipologia largamente diffusa nelle chiese del Quattrocento. La composizione viene dipinta da Alvise per la chiesa di San Francesco a Treviso. Il pittore inserisce due finestre sullo sfondo per aprire la rappresentazione sul paesaggio. Le finestre sono state però coperte con l'inserimento della tenda verde, misteriosamente aggiunta ben dopo la produzione dell'opera.

Nonostante una certa rigidità nelle pose, le figure sono estremamente realistiche e dimostrano come Alvise sia stato capace di assimilare con successo il linguaggio sofisticato di Antonello da Messina (presente a Venezia tra il 1475 e il 1476).

Ogni santo, come è noto, allude a qualcosa; e Alvise Vivarini si sofferma con grande attenzione sulla gestualità dei personaggi, in particolare sulle mani. Con ampio gesto San Francesco rivela le sue stigmati, Giocchino porge la colomba della pace, mentre la Vergine invita gli osservatori a partecipare alla scena.

"Un'altra personalità di grande livello "

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"Madonna col Bambino in trono e santi", Cima da Conegliano, 1497-1501, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Un'altra personalità di grande livello, in questo primo Rinascimento veneto, è Cima da Conegliano. Alcuni aspetti, come la sua provenienza provinciale e la morte precoce, ne hanno condizionato l'ascesa e precluso importanti commissioni di stato.

Cima, tuttavia, trova un certo successo presso le confraternite lagunari e alcuni ordini religiosi, inserendosi poi con forza negli anni '90 del secolo quando Giovanni Bellini è impegnato nel ciclo decorativo di Palazzo Ducale. 

Il pittore coneglianese non è un semplice gregario ma è capace di innovare rispetto al già originale stile di Bellini e, in un caso, riesce ad essere lui stesso ispiratore di Giovanni. Sto parlando del bellissimo Battesimo di Cristo in San Giovanni in Bragora [articolo], a cui il Bellini guarda nel realizzare il suo Battesimo per la chiesa di Santa Corona a Vicenza.

​Tra i suoi capolavori oggi esposti alle Gallerie dell'Accademia, segnalo questa straordinaria pala d'altare, commissionata dall'armatore Giorgio Dragan per la chiesa della Carità a Venezia. Cima si dimostra qui capace di fondere ciò che di meglio l'arte locale ha da offrire: la monumentalità di Giovanni Bellini, i lavori in marmo di Tullio Lombardo e la dolcezza espressiva di Antonello da Messina.

Di incredibile realismo è il presunto ritratto del committente, il quale presta il suo volto per la rappresentazione di San Giorgio (con cui condivideva il nome), visibile nel secondo santo da sinistra.

"Il volto della Serenissima nel Rinascimento "

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"Miracolo della reliquia della Croce al ponte di Rialto", Vittore Carpaccio, 1496 circa, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Chiudiamo questo secondo appuntamento dedicato ai capolavori delle Gallerie dell'Accademia, con il più grande autore di teleri a Venezia: Vittore Carpaccio. Creatore di incredibili "vedute" della città, ci ha consegnato un'immagine irripetibile del volto della Serenissima nel Rinascimento.

L'opera in oggetto appartiene al celebre ciclo per la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, di cui abbiamo appena parlato con Gentile Bellini. Il tema è sempre quello dei miracoli di un frammento della Vera Croce, regalato alla Scuola nel 1396 da Philippe de Mézières, cancelliere dei regni di Cipro e Gerusalemme.

La scena mostra il miracolo della guarigione di un ossesso, avvenuta grazie all'imposizione della reliquia per mano del Patriarca di Grado. In realtà, all'episodio centrale è riservato un piccolo spazio nella parte in alto a sinistra del dipinto (sotto un'elegante loggia rinascimentale). Ciò che più conta, per Carpaccio, è il racconto della vitalità urbana brulicante di vita.

Due particolari destano l'interesse di noi osservatori del XXI secolo. Il ponte di Rialto, innanzitutto, nelle sue forme lignee, prima della ricostruzione in pietra del 1591. Un ponte levatoio medievale in piena regola, funzionale al passaggio di ingombranti imbarcazioni sul Canal Grande. L'altro particolare è la presenza di un gondoliere di pelle scura nel primo piano della scena.

Quest'ultimo dettaglio ci porta a riflettere sulla presenza traumatica di schiavi nella Venezia del Rinascimento. Si sa, infatti, che, nonostante il divieto cattolico di praticare la schiavitù, per secoli l'Europa ha convissuto con la presenza di stranieri ridotti a merce. Questa è una pagina terribile di un periodo che, sotto altri punti di vista, ha segnato una svolta nella cultura e nella civiltà umana.

Con Carpaccio si conclude il nostro secondo appuntamento con le Gallerie dell'Accademia. Vi do appuntamento alla prossima settimana dedicata tutta a Giorgione e al seguito che il suo impatto ebbe in laguna!

​Articolo a cura di Daniel Buso
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GALLERIE DELL'ACCADEMIA. PARTE 1

9/3/2021

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"Potenza e ricchezza "

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Potenza e ricchezza. In queste due parole si riassume la grandezza di Venezia nell'età medievale. La ricchezza, come si sa, è il presupposto imprescindibile per lo sviluppo della cultura e la città diventa presto centro propulsore di tesori artistici.

L'antefatto del racconto di questo articolo è la crisi militare di fine Trecento. Tra il 1378 e il 1381 si consuma la Guerra di Chioggia, nel corso della quale la sopravvivenza stessa di Venezia viene messa a rischio. I genovesi arrivano fin dentro alle acque della laguna, ma la città resiste e il nuovo doge Antonio Venier, eletto nel 1382, trasforma nuovamente la Serenissima in un'isola felice.

In questo periodo il cambiamento culturale più significativo è l'apertura a Occidente. Venezia non ha più un rapporto esclusivo con l'Oriente e anche in ambito artistico gli artisti manifestano una sempre maggiore voglia di modernità, per uscire dai canoni rigidi della pittura bizantina.

Inizia così il Rinascimento veneziano che, pur tardando ad affermarsi rispetto a Firenze o Roma, rivoluzionerà il volto della città e permetterà (alla data 1494) all'ambasciatore francese Philippe de Commynes di affermare: "è la città più bella e trionfante".

"Contorni nitidi
​e ombre delicatissime
"

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"Madonna col Bambino e il committente Vulciano Belgarzone", Nicolò di Pietro, 1394. Gallerie dell'Accademia, Venezia
Alla fine del Trecento la situazione artistica è bloccata. Le opere subiscono una flessione espressiva, lo stile è costretto dalle regole accademiche e gli artisti si chiudono negli argini rassicuranti del passato glorioso.

Uno degli episodi che segnano la svolta è la presenza in città di Nicolò di Pietro, documentato per la prima volta nel 1394, anno in cui firma la Madonna col Bambino e il committente Vulciano Belgarzone esposta nella prima sala delle Gallerie dell'Accademia [vedi immagine qui sopra].

Lo stile di Nicolò è tra i più fulgidi esempi di gotico internazionale, riflesso di una società che si allontana dalle formule orientali per rivolgere il proprio sguardo a Occidente. Le sue figure sono caratterizzate da contorni nitidi e ombre delicatissime, pur all'interno di uno sfondo dorato che ancora ricorda le sofisticate icone greche.

Sono numerose le caratteristiche che rendono estremamente innovativo questo dipinto. Il senso di naturalismo, la capacità di comunicare i sentimenti nei volti dei personaggi e una pittura liquida capace di infondere grande luminosità alla composizione.

"Dalla schematica tipologia bizantina
al più frizzante stile gotico
"

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"La Giustizia in trono con gli arcangeli Gabriele e Michele", Jacobello del Fiore, fine XIV sec. Gallerie dell'Accademia, Venezia
A Nicolò di Pietro segue Jacobello del Fiore. Attivo a Venezia dal 1400, lo scopriamo pittore ufficiale della Serenissima nel secondo e quarto decennio del secolo. L'ufficialità non è in questi secoli un riconoscimento puramente formale, come sottolinea la tanto agognata sospensione dalle tasse e l'alto stipendio che accompagnavano l'attribuzione della carica.

L'opera che ci accoglie al piano nobile delle Gallerie dell'Accademia è tutta sua. Un'imponente tavola con La Giustizia in trono tra gli arcangeli Gabriele e Michele (Trittico della Giustizia) entrata nel museo veneziano nel 1884 [vedi immagine in alto].

Tempera e oro sono i materiali che compongono questa scena caratterizzata dalla vivacità dei colori (molto preziosi) e dal dinamismo delle figure che rendono la superficie pittorica estremamente piacevole. Jacobello abbonda inoltre di dettagli e particolari intriganti.

Anche lui, come Nicolò, assume su di sé il peso del trapasso linguistico dalla schematica tipologia bizantina al più frizzante stile gotico. La sua importanza a Venezia è sottolineata dall'ipotesi che lo vuole al fianco dei più blasonati Pisanello e Gentile da Fabriano nella decorazione di Palazzo Ducale, quindi nel cuore delle commissioni in laguna.

"Il gotico è al suo canto del cigno "

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"Polittico di San Giacomo", Michele Giambono, 1450. Gallerie dell'Accademia, Venezia
Nel 1415 Jacobello del Fiore ottiene la carica di "gastaldo" della corporazione dei pittori veneziani. Posizione di prestigio che lo rende forse il pittore più influente in laguna questa data. Lo stesso anno è significativo anche per l'arrivo a Venezia di Michele Giambono.

Il suo stile è un riassunto delle migliori espressioni lagunari: le linee complesse dell'opera matura di Jacobello, gli accenti "espressionisti di Zanino di Pietro e l'attenzione al dato naturalistico di Nicolò di Pietro.

Per scoprirne l'opera degli esordi bisognerà spostarsi momentaneamente dalle Gallerie per ammirare la Madonna del Carmelo collocata nella chiesa degli Scalzi a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Il suo capolavoro museale è invece il Polittico San Giacomo datato al 1450 [immagine in alto]. Cinque preziose tavole a fondo d'oro.

L'aspetto più evidente di questo capolavoro è il prezioso senso della decorazione, ispirato alla maniera degli artisti che in quegli anni decoravano Palazzo Ducale.  Il Gotico è al suo canto del cigno e il Giambono ce ne lascerà una testimonianza raffinatissima con il San Crisogno a cavallo che si può ammirare nella chiesa di San Trovaso sempre a Venezia, vicino ai capolavori di Jacopo Tintoretto.

"Un linguaggio ormai maturo
​si sta diffondendo a Venezia
"

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"Madonna col Bambino", Jacopo Bellini, 1450 c. Gallerie dell'Accademia, Venezia
A questo punto irrompe sulla scena Jacopo Bellini.
Il primo e precoce pittore autenticamente rinascimentale a Venezia.

Jacopo organizza la produzione in una bottega dal carattere marcatamente familiare. Le opere che escono dallo studio sono culturalmente nuove e per certi versi antitetiche rispetto alla corrente tardo gotica. La sua consapevolezza rinascimentale si esprime nel disegno molto più sicuro, nelle architetture razionali e nel colore. Un linguaggio ormai maturo si sta diffondendo a Venezia.

La tavola qui riportata fa parte del genere devozionale della Madonna col Bambino [vedi immagine in alto], di cui il figlio Giovanni diventerà grande interprete. Il punto di partenza è, ancora una volta, l'icona bizantina. Ciò che cambia è la rappresentazione del soggetto, l'inedita attenzione all'aspetto umano ed emotivo che portano l'artista a rappresentare qualcosa di più rispetto a due figure sovrannaturali: ovvero il rapporto tra una madre e il figlio.

Le forme sono costruite con maggiore solidità rispetto al passato e i panneggi meticolosamente dipinti sui corpi riescono nell'intento di far risaltare la volumetria. Il rosso dominante è impreziosito da tocchi dorati nei punti in cui si posa la luce. L'umanità espressiva è straordinariamente suggerita dal gesto del Bambino che accarezza il volto della Madre.

"L'estrema espressione del
​tardo gotico-internazionale a Venezia
"

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"Polittico della CaritĂ ", Antonio Vivarini, 1446. Gallerie dell'Accademia, Venezia
Nel medesimo periodo di Jacopo Bellini compare a Venezia un'altra corrente influenzata dalle novità espressive centro-italiane. Si tratta della "scuola muranese". Murano è infatti il luogo di nascita del capostipite della bottega: Antonio Vivarini, nato tra il 1415 e il 1420.

Alla bottega partecipano fin da subito il cognato di Antonio, Giovanni d'Alemagna, e il fratello minore Bartolomeo. Ai due si aggiungerà il figlio Alvise che opererà in città fino al Cinquecento.
Antonio Vivarini rappresenta, a metà Quattrocento, l'apice per la pittura veneziana. Egli non appartiene a quel linguaggio di inizio Rinascimento già espresso dal Bellini, ma è l'estrema espressione del tardo gotico-internazionale a Venezia.

Antonio Vivarini realizza, nel 1446, il Polittico per l'influente Scuola Grande​ della Carità, oggi alle Gallerie dell'Accademia [immagine in alto]. Si tratta dell'esito più complesso e monumentale del sodalizio con Giovanni d'Alemagna. La struttura architettonica rievoca forme gotiche ma il senso dello spazio è coerente e sviluppato da chi, chiaramente, conosceva le regole della prospettiva.

Le intuizioni prospettiche del Vivarini, la dolcezza con cui sono resi gli incarnati e i colori squillanti (forse debito del celebre vetro muranese) dimostrano la modernità di Antonio e la sua comprensione delle opere padovane di Donatello che ebbe l'opportunità di vedere dal vivo. L'opera, come dicevo, è gotica ma il senso dello spazio sembra aprire con forza la strada agli sviluppi rinascimentali di Andrea Mantegna e Giovanni Bellini di cui parlerò nel prossimo capitolo dedicato sempre alle Gallerie dell'Accademia.

Vi dò quindi appuntamento al prossimo articolo del Blog di ARTIKA in cui affronterò ancora l'argomento della grande arte del Rinascimento a Venezia!
Articolo a cura di Daniel Buso
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    Daniel Buso

    Storico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA

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