Alla fine del Quattrocento Venezia ha raggiunto la sua massima estensione territoriale. I grandi artisti, come Bellini e Vivarini, ne rappresentano lo gloria e la potenza. Nel 1494 una ventata di novità spira dal Nord Europa. In quell'anno valica le Alpi un artista le cui incisioni riscuoteranno grande successo: Albrecht Dürer. La natura aspra e selvatica, da lui dipinta, appare subito più "vera" di quella plasmata dall'uomo, così come la si poteva vedere nelle opere di Giovanni Bellini. L'incisione conosce così il suo periodo di maggior successo in laguna, anche se i primi esperimenti sono riconducibili al lontano 1425, da parte di Cristoforo Cortese. Il pittore veneziano che più si dedica a questa tecnica è Jacopo de' Barbari, che nel 1500 esatto realizza l'immortale pianta prospettica della città di Venezia [fig. 1]. La veduta riscuote, fin dalla sua prima apparizione, un entusiasmo unanime. L'impresa, costata più di tre anni di lavoro, viene affidata all'editore tedesco Anton Kolb che ottiene il privilegio di stamparla. Si tratta della prima veduta d'insieme realistica della città, ripresa a "volo d'uccello". Prima della stampa le immagini vengono sottoposte al vaglio del Consiglio dei X che ordina all'autore di alterare la disposizione dei canali, ma soprattutto di nascondere la reale conformazione dell'arsenale. Lo scopo della veduta è mostrare al mondo la sublimità di Venezia, senza svelarne però i segreti! Nel 1495 arrivano a Venezia i trittici di Hieronymus Bosch (forse arriva prima lui, ma il viaggio non è provato). I riflessi della sua proverbiale fantasia allucinata riverberano nelle opere di alcuni artisti locali: Marcantonio Raimondi, il Savoldo e, soprattutto, Giorgione. "La costruzione di un'atmosfera unificata e piena di luce"Negli anni di cui si va discorrendo, si compie la formazione di un genio: Giorgione, appunto. Il grande pittore da Castelfranco si distacca presto dal mondo figurativo costruito nei decenni da Giovanni Bellini, ne rifiuta lo stile e l'attenzione spasmodica (tipicamente inizio-rinascimentale) per la costruzione prospettica. Nel costruire la sua particolare visione, Giorgione preferisce rivolgersi a Bosch, piuttosto che ai maestri lagunari. Progressivamente il pittore raggiunge così una sua dimensione che sarà celebrata in tutto il mondo: la costruzione di un'atmosfera unificata e piena di luce. Un altro artista che lascia un'impatto fondamentale nel suo stile è Leonardo Da Vinci. Quest'ultimo visita la Serenissima e lascia traccia del suo passaggio tra il 1499 e il 1500. Vasari, il grande biografo del Rinascimento, ci ricorda: "aveva veduto cose di mano di Lionardo [...] e questa maniera gli piacque tanto che mentre visse sempre andò dietro a quella". Il nuovo secolo si sta aprendo e sarà interamente segnato dalla bruciante carriera di Giorgione. "Dipinse anche quello che non si può dipingere, tuoni, lampi e fulmini" Il mondo di Giorgione è estremamente morbido, fatto sia di luci intense che colpiscono le forme, sia di ombre capaci di conferire misteriosità alle composizioni. La sua carriera accelera rapidamente anche grazie a una novità assoluta che l'Arte propone in questo periodo: ovvero l'imitazione della pittura antica. La moda per l'antico deriva in parte dagli scavi archeologici contemporanei che portano alla luce importanti tesori del passato. Ma, d'altro canto, la passione per gli antichi si sviluppa sulla base di suggestioni letterarie ispirate a opere d'arte perdute per sempre e di cui resta flebile memoria nei manoscritti sopravvissuti, come la Naturalis historia di Plinio. Nella Tempesta Giorgione sembra cogliere la sfida di Apelle, il quale "dipinse anche quello che non si può dipingere, tuoni, lampi e fulmini". Inoltre, attraverso quest'opera, l'artista rivela la sua originalità: protagonista non è più un gruppo di figure con una storia precisa ma il paesaggio! L'interesse che Giorgione ha per la natura è in linea con gli sviluppi della poesia a lui contemporanea. L'Arcadia di Sannazaro è, in tal senso, il manifesto programmatico di questa passione, che vede le stampe nel 1504 a Venezia. La Tempesta è tra i dipinti più suggestivi della storia dell'arte, oltre ad essere tra i "pezzi" che rendono indispensabile una visita alle Gallerie dell'Accademia. Fiumi di inchiostro sono stati spesi in opere di un'opera che oggi, a più di 500 anni dalla sua nascita, continua a suscitare grandi emozioni e nodi interpretativi probabilmente inscioglibili. "Più complessa rispetto alla consueta meditazione sulla morte e sul tempo che scorre"Oltre alla natura, un altro aspetto che rende estremamente moderno Giorgione è l'attenzione psicologica nel ritratto. A questi apici di introspezione arriverà anche Raffaello, un decennio più tardi, e Tiziano, che della maniera di Giorgione è il naturale continuatore. Il fascino dello stile di Zorzi da Castelfranco non colpisce solo le nuove generazioni, anche le precedenti ne subiscono talvolta l'effetto magnetico. Mi riferisco a Giovanni Bellini (del resto sempre attento ad assimilare le novità), il quale testimonia il suo omaggio al nuovo genio nella monumentale Pala di San Zaccaria, ancora oggi esposta nella chiesa omonima. Le Gallerie dell'Accademia ci offrono la vista di uno dei pochi dipinti sicuramente autografi di Giorgione: La vecchia. Se non ne conoscessimo i passaggi ereditari, potremmo agevolmente confonderlo con un dipinto dell'Ottocento, un Courbet, ad esempio. Il soggetto è estremamente particolare: un'anziana signora dipinta con assoluto, e per certi versi, impietoso, realismo. Il viso della donna mostra tutti i segni dell'età, dalle rughe alla dentatura imperfetta. Come sempre con Giorgione, un alone di mistero circonda l'opera. Il dipinto appartiene al genere della vanitas, come suggerisce il cartiglio che tiene in mano il soggetto con la scritta "col tempo". Eppure, dall'inventario Vendramin del 1601 (dove si trovava il dipinto) compare un documento secondo il quale La vecchia sarebbe stata abbinata ad un'effige maschile andata perduta. Tale combinazione contribuiva, forse, ad una tematica più complessa rispetto alla consueta meditazione sulla morte e sul tempo che scorre. "La sua mimica naturale suggerisce l'emissione di un canto"In questi giorni le Gallerie dell'Accademia ospitano un motivo in più per andarci: Il Concerto di Giorgione. Si tratta di un prestito a lungo termine della collezione Mattioli. Il protagonista, al centro, è rappresentato a bocca aperta, con la fronte aggrottata e il capo roteato. La sua mimica naturale suggerisce l'emissione di un canto. Come da migliore tradizione giorgionesca, l'opera è avvolta nel mistero. Questa tela cela tante storie, abitualmente visibili solo dai legittimi proprietari, ma che per cinque anni chiunque potrà godere a Venezia. Il dipinto è stato a lungo interpretato come una rappresentazione di carattere sacro. L'oggetto che il soggetto principale tiene in mano venne infatti confuso con una pietra. Da questo dettaglio si volle riconoscere nell'uomo l'eroe biblico Sansone, costretto a girare una macina dopo esser stato catturato. Più recenti indagini hanno invece dimostrato che l'oggetto in questione dovrebbe essere uno strumento musicale a corda rovesciato. Il cambio di prospettiva ha permesso di identificare l'opera come il dipinto chiamato "Tre grandi teste che cantano" di Giorgione nell'inventario di Gabriele Vendramin, noto committente del pittore da Castelfranco e di Tiziano. "La persistenza del lessico di Giorgione"L'altro personaggio del nostro racconto odierno è Sebastiano Luciani, detto del Piombo. Egli è, probabilmente, allievo di Giorgione; anzi spesso i nomi dei due artisti si confondono nei tentativi di attribuzione. Sebastiano esordisce nel 1505 a Venezia nel solco della tradizione belliniana. L'influenza del maestro inizia a intravedersi qualche anno più tardi in alcuni particolari salienti come i gesti e le iconografie spesso ermetiche. Sebastiano è un pittore capace di raggiungere un successo precoce; anche grazie ad alcune circostanze indipendenti dal suo talento. Innanzitutto il carattere defilato di Giorgione, che lo porta a privilegiare la committenza privata; in secondo luogo la non-ubiquità di Giovanni Bellini, che lascia così spazio a talenti emergenti nei settori pubblici. Nella storia critica del dipinto che proponiamo leggiamo la grande confusione che spesso regna nel settore delle attribuzioni giorgionesche. La Visitazione è stata infatti, di volta in volta, attribuita ora a Sebastiano, ora a Giorgione e perfino a Tiziano. Le difficoltà derivano soprattutto dalla stretta affinità nello stile dei tre artisti ai primissimi anni del Cinquecento. La persistenza del lessico di Giorgione la ravvisiamo non soltanto nella dolcezza delle figure, ma anche e soprattutto nel brano paesaggistico. Lo sfondo diroccato, ispirato forse alle stampe di Dürer, è dominante e riflette quella visione naturalistica di cui abbiamo parlato in riferimento alla Tempesta. "Capacità di introspezione psicologica"Se la Visitazione, di cui si è appena parlato, ci ricorda Giorgione nel paesaggio; i volti dei santi nelle tavole provenienti dalla chiesa di San Bartolomeo esprimo tutta la capacità di introspezione psicologica che Sebastiano del Piombo eredita dal suo maestro.
I santi del ciclo esposto alle Gallerie dell'Accademia sono quattro: Bartolomeo, Sebastiano, Ludovico da Tolosa e Sinibaldo. Quest'ultimo assolutamente raro nella pittura "italiana", ma qui giustificato dal luogo di provenienza dell'opera: la chiesa di San Bartolomeo si trova, infatti, nei presso del Fondaco dei Tedeschi dove gravitava la nutrita comunità di mercanti germanici. Mi soffermerei proprio sul volto di San Sinibaldo. Il santo di Norimberga, canonizzato nel Quattrocento, appare in una posa estremamente elegante (quasi da modello). Il suo vestiario, sobrio dal collo in giù, è caratterizzato da un elaborato cappello con simbologie araldiche e naturalistiche. Un copricapo goliardico verrebbe da dire, se non conoscessimo la leggenda secondo la quale il santo, dopo la morte, avrebbe tirato un ceffone ad un buffone colpevole di aver tirato la barba al cadavere (e quindi non doveva essere un grande amante degli scherzi). Il volto, come dicevo, è invece estremamente realistico e, alla maniera di Giorgione, il pittore si rivela capace di rivelarci in pochi attimi il carattere serioso e devoto del personaggio. Sebastiano lavora all'opera appena prima della sua partenza per Roma, che avviene nel 1511. Nella città dei papi il Luciani si troverà a gareggiare con Raffaello per ottenere i favori del pontefice, forte però di un significativo protettore: Agostino Chigi, tesoriere capitolino. Con Sebastiano del Piombo terminiamo il capitolo odierno dedicato alla figura di Giorgione e alle opere che attorno a lui gravitano nel contesto delle Gallerie dell'Accademia. Il nostro viaggio nello straordinario museo veneziano però non finisce qui! Vi do appuntamento alle prossime settimane in cui parleremo di altri grandi interpreti del Rinascimento veneto: da Tiziano, passando per Veronese, Paris Bordon e il genio furioso di Tintoretto. Articolo a cura di Daniel Buso
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Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Dicembre 2024
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