"I nuovi volti della scena dell'arte veneta"Il nostro precedente articolo [che potete recuperare a questo link: PARTE 4] era incentrato, necessariamente, sulla figura del grande Tiziano Vecellio. Il pittore cadorino, nel 1516, raccoglie l'eredità di Giovanni Bellini (appena deceduto) e si impone come protagonista indiscusso della scena artistica lagunare. La sua fama travalica presto i confini della Serenissima, diffondendosi in tutta l'Italia settentrionale, e poi ancora più in alto verso la corte di Carlo V Imperatore e subito dopo presso il figlio Filippo II Re di Spagna. La generazione dei Cima e dei Palma il Vecchio sta scomparendo, Giorgione è già tristemente morto, mentre Sebastiano del Piombo si è installato a Roma. Tiziano sembra non avere rivali e domina! Ciononostante i committenti a Venezia continuano ad essere voraci di opere d'arte e si crea necessariamente tanto spazio per i talenti emergenti di cui parliamo in questa PARTE 5 alla scoperta delle Gallerie dell'Accademia. I nuovi volti della scena dell'arte veneta sono Veronese, Tintoretto e Lorenzo Lotto. "La ricchezza e la potenza di Venezia provoca alla città terribili inimicizie"Prima di lasciarci trascinare dalla inebriante bellezza delle opere nelle Gallerie dell'Accademia, è opportuno un breve capitolo dedicato alla storia Serenissima nella prima metà del Cinquecento. Iniziamo dicendo che la ricchezza e la potenza di Venezia provoca alla città temibili inimicizie. Dopo aver ottenuto il controllo dell’importante isola di Cipro, grazie a Caterina Cornaro, nuovi scontri con gli Ottomani portano presto la Serenissima a perdere importanti basi in Oriente. In Europa, Francia e Spagna sono ormai due consolidati stati nazionali capaci di mutare gli equilibri del continente. Carlo VIII di Francia dilaga in Italia, mentre la Spagna nel 1504 ottiene il controllo del regno di Napoli. Venezia si muove con astuzia politica e ottiene importanti città come Faenza e Rimini, strappandole all’autorità papale. Sembra che la sorte arrida ai Veneziani ma in quegli stessi anni inizia a organizzarsi una formidabile coalizione contro di essa. Francia, Impero e Spagna si accordano e identificano lo stato veneto come merce di scambio. Nel 1509 i Francesi iniziano le ostilità sull’Adda, l’Impero dilaga in Veneto da nord e gli Spagnoli riprendono possesso delle colonie veneziane in Puglia. Giulio II (il Papa) si intromette e lancia la scomunica contro la città. Il 14 maggio 1509 è una triste giornata da ricordare per i Veneziani drammaticamente sconfitti ad Agnadello. La situazione appare ancora peggiore rispetto a quella vissuta con la guerra di Chioggia del Trecento. Molte città sottoposte al giogo veneziano si aprono subito ai nuovi dominatori. A salvare la situazione concorrono diverse circostanze. Innanzitutto il realismo e il pragmatismo dell’azione politico-diplomatica veneziana che punta a dividere il fronte dei nemici. Al Papa vengono restituite molte città sottratte, ma soprattutto viene convinto che i Francesi possono diventare un nemico peggiore dei Veneziano. Giulio II istituisce così la lega santissima (1511) alleandosi con la Spagna e Venezia in chiave anti-francese. Questi sono gli anni degli Asburgo che tra il 1516 e il 1519 realizzano l’immensa unificazione dei territori spagnoli e imperiali per vie ereditarie nelle mani di Carlo V. Venezia dal canto suo si muove instancabilmente alleandosi ora con la Francia, ora con Carlo V e riesce ad avere un ruolo chiave al congresso di Bologna che nel 1530 ridefinisce i confini della penisola e conferma lo “stato da terra” dei Veneziani. L’Italia avrà confini abbastanza stabili con la celebre pace di Cateau-Cambrèsis del 1559: che rende la Spagna vera dominatrice della penisola con aree di influenza in Lombardia, nel Regno di Napoli, in Sicilia e in Sardegna. Nella generale crisi delle libertà italiane, l’indipendenza dello stato veneto è stata salvata. A Venezia, a questo punto della storia, c’è la capacità di elaborare un'azzeccata presa di coscienza storica delle dimensioni limite entro le quali la Repubblica può continuare a vivere. Venezia diventa così stato libero e neutrale. Le parole d’ordine sono “raccoglimento” e “distacco”. Questa politica verrà portata avanti con successo per più di due secoli. "Anticipazione del ritratto moderno"Con questa breve premessa storica in mente torniamo ad attraversare le sale delle Gallerie dell'Accademia, con la consapevolezza di essere di fronte al risultato di una società che vede l'arte come uno strumento di promozione politica. L'immagine che Venezia trasmette al mondo è di un luogo raffinato, la cui potenza è tale soltanto nelle opere. Lorenzo Lotto è un raffinato interprete della pittura lagunare. Come sappiamo però, la competitività di Tiziano gli rende estremamente difficile ricavarsi una nicchia di mercato. Il suo stile, inoltre, risulta spesso incompreso per quel magico realismo di sentimenti e quella stesura cromatica morbida che non si adattano al linguaggio del pittore ufficiale della Serenissima. Il museo veneziano in cui ci troviamo ospita una sua pregevole tela, che ritrae un giovane gentiluomo in abito scuro [Fig.2], colto nell'attimo in cui pensieri malinconici lo distolgono dalla lettura. La luce proviene da destra e rischiara la bellissima natura morta sullo scrittoio. Il calamaio, il ramarro, la lettera col sigillo spezzato sono tutti oggetti carichi di significato simbolico. Alle sue spalle il corno e il liuto probabilmente alludono al rifiuto dei piaceri della gioventù in nome di una vita dedita allo studio. L'espressione trepidante del soggetto e le sue lunghe mani nervose sono gli elementi che contribuiscono alla profonda intensità della tela. L'acuta introspezione psicologica, di cui fa sfoggio l'artista, pongono l'opera come anticipazione del ritratto moderno. Lotto non dipinge imperatori e papi, ma personaggi della piccola nobiltà o borghesi in ascesa. Per lui ciò che conta non è l'ufficialità della posa o la trasmissione del ruolo politico. I suoi ritratti ricercano il dialogo tra la personalità della figura rappresentata e l'emotività di chi li osserva, allo scopo di costruire un confronto umano tra le due parti. Il ragazzo in esame ci guarda e con il movimento del corpo ci introduce nella sua attività, comunicandoci la sua interiorità a distanza di secoli. "L'autonomia del colore si unisce al disegno"Uno dei massimi rinnovatori del Rinascimento veneziano è Jacopo Robusti, detto il Tintoretto. Sulla base solida della tradizione di Giorgione e Tiziano, Tintoretto inserisce la cultura figurativa del Manierismo. L'autonomia del colore si unisce al disegno, in una armoniosa compenetrazione tra linguaggio veneto e cultura fiorentina. L'apice della sua fervida operosità si può ancora oggi ammirare nella Scuola Grande di San Rocco, per cui realizza il grande ciclo pittorico tra il 1564 e il 1587. Tutta Venezia continua a vivere del gesto e dell'impeto del furioso tentor ed ogni passeggiata a Venezia ci porta immancabilmente a scoprire almeno una chiesa in cui è contenuto un suo capolavoro. Le Gallerie dell'Accademia ospitano diversi suoi dipinti, appartenenti a periodi distinti della sua attività. Tra i più significativi vi è il Miracolo dello schiavo [Fig.3], opera che segna la sua maturazione alla data 1548. Il dipinto, assai discusso fin dal momento della sua esposizione nella Scuola Grande di San Marco, gli permette di incontrare i favori del grande pubblico. Già in questa fase precoce Tintoretto guarda a Michelangelo e ne rielabora con visione personale l'energia compositiva. Il suo linguaggio è provocatoriamente innovativo. In quest'opera tutto è teatrale: dal monumentale impianto scenografico all'abile regia con cui sono disposti i personaggi nelle loro elaborate movenze. L'opera rappresenta uno dei miracoli compiuti da San Marco dopo la morte. Il santo patrono di Venezia intercede presso gli umani con lo scopo di liberare uno schiavo dalla pesante tortura a cui era stato condannato da un signore di Provenza, rappresentato su un alto trono a destra. L'apparizione del santo, al centro, provoca lo spezzarsi degli strumenti del martirio generando scompiglio nei presenti. L'intenso passaggio tra zone di luce e zone d'ombra, che si viene a creare nel dipinto, garantisce la messa in scena di qualcosa di assolutamente inedito per i Veneziani della metà del Cinquecento. Allo stupore (e in alcuni casi all'indignazione) farà presto seguito un'ammirazione pressoché incondizionata che lo porterà ad essere protagonista di indimenticabili cicli pittori nella sua città. "Teatralità e ricchezza"Nella grande civiltà pittorica veneziana, Paolo Veronese occupa un posto di primissimo piano. Il suo stile è chiaramente distinguibile per la particolare armonia data dalle tinte limpide, brillanti e per la trasparenza delle atmosfere. I suoi mezzi espressivi e il suo modo di rappresentare le figure saranno grande fonte di ispirazione per la pittura del Settecento. Il capolavoro assoluto che vi propongo in questa sede è il gigantesco Convito in casa di Levi [Fig.4], capace di svilupparsi lungo una superficie orizzontale di tredici metri. Il titolo è fuorviante, esso infatti rappresenta l'Ultima cena. La storia ci racconta come Veronese sia stato costretto a cambiar nome al dipinto a fronte di una contestazione da parte del pericoloso Tribunale dell'Inquisizione. Il motivo della censura è legato alla presenza di alcuni particolari ritenuti immorali: cani, pappagalli, uomini ebbri e nani. L'uso del chiaroscuro è ridotto al minimo. La composizione è interamente realizzata con colori chiari e luminosi. Come Tintoretto, anche Veronese si dimostra sensibile alle novità del Manierismo e si sofferma con cura nel modellare i corpi e gli abiti, rendendo così i personaggi perfetti e monumentali. L'ambientazione è signorile. Veronese concepisce la scena in un palazzo di stile classico cinquecentesco con architetture ricche e sontuose. Tutti i personaggi indossano abiti contemporanei al pittore, fatta eccezione per Gesù abbigliato con la consueta veste coperta da un mantello. Teatralità e ricchezza: con queste due parole si può riassumere l'impatto di Veronese. Le figure compiono movimenti frizzanti estremamente credibili nei loro abiti sfarzosi. La sontuosità della scenografia ci colloca virtualmente dentro ad una ricca abitazione veneziana riservando all'episodio sacro una posizione simbolicamente marginale. -- Con Veronese chiudiamo questa quinta parte del racconto delle Gallerie dell'Accademia. Vista la brevità del format, ai tre grandi maestri è stata riservata una "drammaticamente" piccola finestra. Ci rifaremo nei nuovi articoli in cui mi soffermerò in modo più analitico su ogni singolo artista. Il mese di aprile sarà dedicato ad ARTIKA+ con i tre webinar dedicati alla "Primavera di Venezia. Dal Gotico al Rinascimento" (13-20-27 aprile, ore 21:00). Vi do quindi appuntamento a maggio con i nuovi articoli del Blog di ARTIKA! Articolo a cura di Daniel Buso
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Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Gennaio 2024
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