"Può la passione per l'Arte sconfiggere la calura estiva?"In un periodo tormentato in cui mostre e musei sono sempre a rischio di chiusura anticipata, noi di ARTIKA approfittiamo di ogni momento disponibile per immergerci nell'Arte. Incuranti delle temperature sahariane abbiamo trascorso due giorni nella capitale con un unico scopo: visitare mostre e musei! Passata la sbornia per le prodezze calcistiche, Roma si presenta smagliante colpita da una luce tersa che la rende divina, in linea con la sua eternità. Passeggiare per le vie, solitarie rispetto agli standard pre-Covid, è impresa ardua in questa stagione. Di conseguenza confluiamo nelle strutture espositive alla ricerca di stimoli culturali e di aria condizionata. Le tappe di questi due giorni sono serrate e il mio resoconto, oltre a cercare di convincere chi legge a ripercorrere il percorso, si muove senza un preciso ordine cronologico, mescolando stili e periodi della storia dell'arte dal Rinascimento ad oggi. Qui in breve le esposizioni visitate: la Galleria Doria Pamphilj a pochi passi dal Vittoriano, la mostra del contemporaneo Nico Vascellari alla Fondazione Nicola del Roscio , e il World Press Photo al Macro. "Dove conduce la sete incontrollata di ricchezza"La Galleria Doria Pamphilj, pur centralissima in Roma, è uno scrigno traboccante di preziose opere d'arte leggermente distante dai flussi turistici di massa. Un Palazzo strepitoso, un concentrato di arte e di storia che riflette la grandezza di alcune tra le più grandi famiglie nobiliari italiane. La Galleria deve il suo aspetto attuale agli interventi voluti dal principe Camillo Pamphilj tra il 1731 e il 1734. Le sale raffinate sono un tripudio di tappezzeria, stucchi, marmi, soffitti affrescati e, ciò che più ci interessa, dipinti realizzati tra il Quattrocento il Settecento. L'emozione per gli spettatori è diversa rispetto a quella di un normale museo. Si ha la possibilità di rivivere l'atmosfera autenticamente vissuta dai nobili ospiti che ebbero l'opportunità di sostarvi nella seconda metà del Settecento. La famiglia Pamphilj è ancora proprietaria dell'immobile e delle meraviglie ospitate al suo interno, ma ha deciso di rinunciare alla superba contemplazione privata per consentire a tutti di beneficiare delle bellezza ospitata. In tal senso dimostrando più fedeltà agli ideali dei rivoluzionari napoleonici rispetto che alla bramosia personalistica di generazioni di aristocratici. I dipinti riempiono letteralmente ogni spazio disponibile a parete e, dopo un inizio incerto con opere minori di Federico Barocci e Mattia Preti, entriamo subito nel vivo con una bellissima Creazione degli animali attribuita a Jan Brueghel. All'alba del Seicento il maestro fiammingo non rinuncia alla particolare verve creativa dei suoi connazionali accostando ad animali reali bestie immaginarie i cui profili sembrano emergere dai recessi di una mente contorta. A Brueghel seguono in rapida successione, e forse in alcuni casi con attribuzioni forzate, mitologie di Paris Bordon, alcuni notturni di Francesco Bassano, una Deposizione di Paolo Veronese, un raffinato doppio ritratto di Raffaello Sanzio, i tre Caravaggio (che sono poi i capolavori imperdibili del percorso espositivo) e poi ancora ritratti psicologici di Lorenzo Lotto, una Sacra Conversazione di Giovanni Bellini e molto altro ancora. Il tutto esposto al di fuori di rigidi schemi cronologici o narrativa ma seguendo, pare, il gusto personale delle personalità che li collezionarono. Senza dimenticare il rubicondo Innocenzo X di Válzquez (a cui, opportunamente, è stata dedicata una sala privata), mi soffermo brevemente su di un'opera squisita: I vecchi avari (fig.2) di Quentin Massys. Il pittore è fiammingo, vissuto tra la seconda metà del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo. Tra i titoli delle sue opere troviamo Gli esattori o Il banchiere e sua moglie, quasi a suggerirci una specializzazione nel rappresentare i pionieri del capitalismo moderno. Massys è cantore di un'umanità diversa rispetto a quella raccontata dagli artisti coevi della penisola. Da lui i committenti non sono aristocratici o prelati in odore di santità ma ricchi borghesi. Nel dipinto in oggetto (I vecchi avari), però, non troviamo l'elegia di una personalità dominante, bensì l'espressione della corruzione di un mondo in cui il denaro è più importante dell'uomo. I protagonisti hanno fattezze spiacevoli e sguardi avidi, ma la loro bruttezza è tutta interiore: la bramosia del possesso di fredde monete metalliche li ha svuotati di spiritualità e di umanità. Un dipinto che è specchio di un'epoca buia la quale, azzardo, perdura ancora oggi. Forse le opere di Massys dovrebbero essere insegnate nei programmi di storia dell'arte fin dall'infanzia, per mostrare alle nuove menti dove conduce la sete incontrollata di ricchezza. "Il numero uno"Dopo l'immersione nella storia della famiglia Pamphilj e relativa parata di capolavori classici ci spostiamo verso la Fondazione Nicola del Roscio. Siamo sempre nel cuore di Roma, tra Piazza di Spagna e via del Tritone. Si tratta di uno spazio di arte contemporanea, istituito per valorizzare e raccontare in modo innovativo la creatività del presente e del futuro. Un elegante edificio degli anni Venti, in via Francesco Crispi 18, ospita un vasto spazio espositivo di 700 metri quadrati. Prima di questo weekend non la conoscevo, mea culpa! Aperta nel 2019, la Fondazione è al suo quinto progetto espositivo, sempre a cura di Pier Paolo Pancotto. Protagonista di questa incerta estate 2021 è l'artista veneto Nico Vascellari. Nato a Vittorio Veneto nel 1976, vive e lavora tra Roma e New York. Di lui si parla molto negli ultimi anni: performer, artista visivo, musicista con i suoi Ninos du Brasil . Nico è stato definito dalla dea della performance, Marina Abramović: "il numero uno". Il suo lavoro è puro dinamismo. Vascellari si muove instancabilmente tra diversi strumenti espressivi, mescolando linguaggi creativi che dal video lo portano al collage, l'installazione e la performance. Recentemente si è reso protagonista di un'esperienza unica, figlia del lockdown: il progetto IONOI. 20 performance in 20 venti giorni consecutivi in 20 regioni d'Italia. Quando musei, cinema e teatri erano chiusi, i Ninos du Brasil hanno prodotto e mostrato Arte nelle case di chi li ha accolti. Negli spazi della Fondazione del Roscio, Vascellari presenta qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui ha abituato il suo pubblico. La frenesia si trasforma in quiete, il vitalismo in contemplazione. Roma gli dedica una prima antologica come vuole la tradizione. Il visitatore non partecipa ma osserva e passa da un'opera all'altra seguendo una logica che rassomiglia più a un museo che a un cantiere creativo. Vent'anni di attività artistica, dai primi lavori (lasciati ad uno stadio progettuale per mancanza di fondi) alle performance che gli hanno acceso i riflettori addosso. Grazie alla narrazione museale, quelle prime opere si tingono di romanticismo. Immaginiamo il giovane artista impegnato a progettarle, ben sapendo che non avrà i mezzi per costruirle. Oggi ci sono, completate tra il 2020 e il 2021, e qui "ripresentate" o più semplicemente "presentate" per la prima volta gli occhi del pubblico. All'ingresso un meccanismo automatizzato schiaccia metodicamente dei pupazzi gommosi facendo loro emettere un suono che risulta disturbante. Al centro della sala un monumentale parallelepipedo rosa si aziona al nostro passaggio, mettendo a rischio l'incolumità del visitatore distratto. E poi ancora una selezione di opere che flirtano con l'immaginario Pop mischiando brand commerciali che sfruttano e stravolgono il corpo degli animali e prodotti di consumo che appaiono in sovrabbondanti forme capaci di nausearci alla maniera di Oldenburg (opere quest'ultime in cui la materia prima è la cioccolata pasquale). Nico Vascellari non è un artista puramente concettuale, poiché lancia quasi sempre un forte messaggio socio-politico. La mostra è il ritratto di un artista impegnato che ambisce a ricavarsi un ruolo di assoluto protagonista del nostro secolo. Affrettatevi! L'esposizione è visitabile fino al 25 settembre 2021. "Gli umani non sono soli in questo pianeta"Chiudo il mio racconto odierno con l'ultima tappa del piacevole weekend capitolino. Come anticipato nell'introduzione, ci siamo trasferiti nel rione Testaccio, quartiere traboccante di murales realizzati da grandi artisti come Blu e Roa. Nel quartiere svetta trionfante l'agglomerato di edifici industriali che hanno ospitato un tempo il lugubre mattatoio della città e che oggi, in parte ristrutturati, accolgono il celebre MACRO.
Spazio interamente votato al contemporaneo, il MACRO sforna progetti di interesse internazionale e ospita spesso residenze di artisti provenienti da tutto il mondo. Recentemente ha accolto un progetto sperimentale di Luigi Presicce, di cui parlerò nel prossimo articolo del Blog di ARTIKA. Oggi mi soffermo invece sulla mostra fotografica che sarà visitabile fino al 22 agosto 2021: il World Press Photo. Il premio è giunto alla 64° edizione! Un vero e proprio polo di attrazione che ha visto coinvolti 4315 fotografi da 130 paesi, per un totale di 74.470 immagini presentate. Un lavoro sovraumano da parte della giuria che ha pazientemente selezionato le 141 foto finaliste, visibili alle pareti dell'ex macello. Politica, società, cambiamento climatico, pandemia e guerre. Praticamente tutti gli argomenti salienti dell'attualità sono stati sviluppati dai fotografi che hanno passato le selezioni. Nel complesso una mostra che suscita un vortice di emozioni. Dal profondo scoraggiamento per i mali che affliggono il nostro tempo, alle lacrime che scaturiscono per la profonda bellezza di gesti che svelano il vero senso dell'esistenza ai quattro angoli del pianeta. Le opere più drammatiche sono anche quelle su cui il nostro occhio si sofferma di più. Come sempre, la tragedia ci spinge a indugiare: tra un vago desiderio morboso di contemplare l'inaudito e la trascinante empatia che ci porta a solidarizzare con le sfortune altrui. Storie di detenuti trattenuti ingiustamente per ragioni politiche, l'esperienza di un uomo transgender nella fredda (per clima e chiusura al diverso) Russia, sciami di locuste che invadono il Kenya (in piena spirito apocalittico), gli occhi straziati di un maiale in un allevamento intensivo, le persone reali dietro al movimento Black Lives Matter e ancora gli angoscianti campi profughi ai margini dell'Occidente. C'è spazio anche per il Covid e le repressioni poliziesche nelle fragili democrazie sudamericane. Ma l'immagine su cui desidero soffermarmi è quella che vi riporto in foto (fig.4). Una coppia di piccioni selvatici ha fatto amicizia con la famiglia del fotografo, durante il lockdown in Olanda. Ollie e Dollie, li hanno chiamati; due presenze abituali in casa a ricordare che gli umani non sono soli in questo pianeta. Articolo a cura di Daniel Buso
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Daniel BusoStorico dell'arte e direttore artistico di ARTIKA Archivi
Dicembre 2024
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